Vittime dell’ictus: come cambia l’aspettativa di vita?
Secondo un recente studio, pubblicato nel dicembre 2012 su The Lancet, l’Italia gode di un ottimo secondo posto mondiale (subito dopo il Giappone) per quanto riguarda l’aspettativa di vita media delle persone: 81,5 anni, passati tra l’altro mediamente in buona salute.
Sembra infatti che siano diminuiti tantissimo i casi di cirrosi epatica e la morbilità ad essa associata ha riscontrato un calo almeno del 38% in 20 anni. Lo stesso vale per incidenti stradali, suicidi, Aids e Hiv e complicazioni durante i parti prematuri.
Purtroppo vi sono però altre malattie che invece hanno visto aumentare le proprie vittime negli ultimi anni: il cancro, specialmente al colon-retto o ai polmoni, gravi forme di diabete, complicazioni legate alla Sindrome di Alzheimer.
Ma le patologie che maggiormente, rispetto alle altre, causano vittime e abbassano la propria aspettativa di vita individuale sono quelle a livello cardiovascolare e cerebrovascolare, legate anche a stati ipertensivi persistenti e probabilmente non trattati adeguatamente.
Tra le malattie che hanno maggiori conseguenze dal punto di vista della speranza di vita, spiccano l’ictus e l’attacco ischemico transitorio (TIA).
Cosa succede alle vittime di un ictus o di un TIA?
Un ictus, o infarto cerebrale, comporta la mancata irrorazione sanguigna in una zona del cervello, causata dalla rottura di un vaso (si parla in questo caso di ictus emorragico, circa nel 20% dei casi) o dalla sua ostruzione a causa di un embolo o di un trombo (ictus ischemico, che ricorre nell’80% delle evenienze). Il periodo di tempo che intercorre tra la comparsa dei sintomi, ormai ben riconoscibili grazie alle numerose campagne informative, e il soccorso professionale, possibilmente in una Stroke Unit, determina la gravità delle conseguenze. L’attacco ischemico transitorio è una specie di piccolo ictus, di durata più breve, con dei sintomi che possono regredire solitamente nell’arco di 24 ore.
Per quanto il soccorso possa essere tempestivo alcune aree cerebrali rimangono lese e le funzioni correlate alle stesse possono subire dei danneggiamenti.
Per questo le vittime di ictus possono avere difficoltà diverse l’una dall’altra; possono soffrire di danni motori, di disfagia, di difficoltà nell’espressione facciale, del linguaggio e sono purtroppo frequenti delle difficoltà a livello cognitivo.
L’aspettativa di vita diminuisce in seguito ad ictus?
Purtroppo esiste una percentuale di mortalità acuta in seguito ad ictus; questo significa che statisticamente è stato rilevato un tasso di mortalità nel caso di ictus ischemico del 20% a 30 giorni e del 30% a 1 anno dall’attacco, mentre per quanto riguarda l’ictus emorragico la percentuale sale al 30-40% di casi letali dopo 1 settimana e al 45-50% dopo 30 giorni.
Un terzo dei soggetti colpiti da ictus e sopravvissuti alla fase acuta, presentano comunque delle disabilità gravi.
Per quanto riguarda gli attacchi ischemici transitori, è bene porvi molta attenzione in quanto spesso sono dei predittori di ictus e una buona percentuale di coloro che ne sono stati vittime rischiano di subire un ictus negli anni a venire, sembra addirittura che il rischio di ictus aumenti di ben 10 volte.
Come si può cercare di migliorare la propria vita dopo un ictus?
Un ictus provoca un grande stravolgimento nella vita della vittima e anche della famiglia che gli è accanto. Nuove difficoltà possono incrinare gli equilibri relazionali provocando, in una grande percentuale di malati, uno stato depressivo grave che si sviluppa in tutte le sue sfaccettature entro 6 mesi dall’attacco qualora non ci troviamo di fronte ad un buon recupero.
La riabilitazione psicologica e quella fisica devono quindi andare di pari passo e fino ad ora molti progressi sono stati fatti per cercare di migliorare giorno dopo giorno la quotidianità di tutti i soggetti coinvolti.
Terapisti specializzati possono aiutare il paziente a recuperare la mobilità e le capacità cognitive e anno dopo anno la ricerca va sempre più avanti per far sì che la speranza di vita dopo l’ictus aumenti sempre di più.
Nonostante tutto, rimane importante sottolineare che la prevenzione è l’arma più efficace per limitare il rischio di ictus. Fare sport almeno 3 volte a settimana e seguire una dieta sana può diminuire del 150% il rischio di malattie cardiovascolari, prima tra tutte l’ipertensione; anche in questo caso il detto “prevenire è meglio che curare” è senz’altro da tenere ben presente, specialmente se si è portatori di uno qualsiasi dei fattori di rischio.