Ictus quando operare
Ictus: tipologie e cause
L’ictus è un danno al cervello dovuto a un blocco o a un’emorragia dei vasi sanguigni cerebrali. La sospensione del flusso ematico nel cervello, anche per pochi minuti, genera nei tessuti cerebrali un rapido deterioramento che può causare paralisi degli arti o degli organi controllati dall’area cerebrale colpita. L’ictus ischemico è dovuto al blocco di un vaso (ischemia) causato da trombosi o da embolia. Generalmente il trombo si forma per il restringimento di una grossa arteria, dovuto alla presenza di una placca di aterosclerosi sulle pareti vasali, mentre nell’embolia cerebrale il blocco di un’arteria cerebrale è causato dal passaggio di materiale (embolo) proveniente da un’altra parte del circolo sanguigno. Nell’ictus emorragico, l’improvvisa rottura delle dilatazioni patologiche della parete arteriosa (aneurismi) causa l’emorragia dei vasi cerebrali. L’attacco ischemico transitorio (TIA), sebbene si presenti con un deficit neurologico di breve durata (i sintomi si risolvono entro le 24 ore), deve essere trattato con urgenza poiché generalmente esso preannuncia la comparsa di un evento più grave e invalidante (ictus ischemico).
Sintomi e fattori di rischio
L’ictus è la causa più frequente di invalidità permanente e di mortalità nei Paesi industrializzati. I due terzi delle persone colpite hanno un’età superiore ai 65 anni. Dal momento che l’evento si manifesta generalmente solo nella parte destra o in quella sinistra del cervello, anche i sintomi risultano “lateralizzati”: paralisi o perdita della sensibilità in un lato del corpo o del viso, occultamento del campo visivo destro o sinistro, incapacità nel linguaggio, vertigini, stato di incoscienza. I fattori di rischio più comuni sono: ipertensione arteriosa, patologie cardiache (fibrillazione atriale, ipertrofia ventricolare sinistra), stenosi carotidea, diabete, dislipidemia, fumo ed eccessivo consumo di alcol.
Terapie dell’ictus e quando operare
Le terapie dell’ictus sono generalmente a base di farmaci anti-aggreganti (come l’aspirina), farmaci trombolitici e fibrinolisi. Nei casi di stenosi superiori al 70% (con eventi pregressi di TIA o ictus), stenosi superiori al 50% con placche in evoluzione, stenosi carotidee bilaterali superiori al 50% e stenosi carotidee superiori al 50% con occlusione carotidea controlaterale, è preferibile interviene chirurgicamente con endoarterectiomia carotidea (EA), tramite apertura della carotide e rimozione diretta della placca aterosclerotica. Un’alternativa meno invasiva è l’angioplastica transluminale percutanea (PTA): si introduce un catetere a livello dell’inguine, lo si porta fino all’arteria carotide e, tramite un palloncino gonfiabile, si procede alla dilatazione della stenosi. Una pratica più moderna e sempre più accreditata è l’integrazione della PTA allo stenting: si inserisce nella carotide una struttura metallica a maglie (stent) che viene fatta espandere fino a raggiungere un diametro pari a quello del lume vasale. Durante l’espansione dell’endoprotesi, la placca carotidea viene schiacciata e il lume del tratto carotideo ristretto viene allargato. Studi recenti hanno dimostrato i molteplici vantaggi della terapia chirurgica su quella farmacologica sia nei casi di lesioni sintomatiche che in quelle asintomatiche, tutte con stenosi superiori al 60%.
Autore: Valerio Sarmati